Era il 24 luglio. Scrivevi dei tuoi pensieri, del tuo pensiero. Quello grosso, il più grosso e ingombrante. Quello relativo alla fine.
Ti rispondevo così.
“Fra tutti questo è il pezzo che più mi tocca.
Mi tocca in senso letterale, anzi mi violenta, mi borseggia dentro come un ladro frettoloso e assetato di monete in una casa non sua.
Mi fermo spesso a pensare in questi giorni a cosa sia la fine. Si perche un fottuto tumore, eh si, chiama a sè subito subito, quell’idea tanto “antipatica” di fine. E non puoi far finta di niente, eh. Ti si piazza li, come un filo di grasso di prosciutto crudo tra i denti. A volte sembra si sia levato e invece cazzo ce l’hai ancora li, tra molare e premolare. E con la lingua ci torni ad ogni istante per ravanare e provare a strapparlo via. Vano infruttuoso e un pò ridicolo tentativo. La faccia si contorce in una smorfia emiparetica. Quasi un sorriso, ma un pò più triste.
A cosa può somigliare la fine? Non lo so… chiudo gli occhi trattengo il fiato. Faccio questo esercizio diverse volte al giorno ultimamente. È così? Tutto nero? Tutto luce? Non lo so…non ci riesco proprio a pensarla … Non ci riesco non perchè manchi di immaginazione, figurarsi, ma per il solo dettaglio che se sei vivo non puoi pensare alla fine. Non puoi, è innaturale.
Si dice spesso che per non perdere il senso della vita bisognerebbe di tanto in tanto confrontarsi con la malattia con la morte con i problemi veri. Con la fine.
Ma ecco con sorpresa che ora che questo ospite inatteso ha messo le tende tra noi ci penso si alla fine, ma solo sforzandomi e questo non è che contribuisca più di tanto a rendere la mia vita migliore. Anzi, possibilmente mi paralizza lasciandomi senza fiato. Un pugno nel diaframma. Col cazzo che serve pensare alla fine.
Capisco ora con chiarezza che l’essere umano deve necessariamente essere programmato per non pensare alla fine. Lo è da un punto di vista ontogenetico, evoluzionistico. Questione di sopravvivenza della specie. Non potrebbe altrimenti.
Non ce la farebbe.
Sarebbe come morire pre – tempo.
Tutto te lo impedisce, perchè dentro di te, di noi, in ogni essere vivente, brucia l’unico combilustibile possibile: un’afflato, un logos, una spinta all’esisteza…il Dasein diceva Heiddegger.. l’esserCi.
Come distesa nella vasca da bagno immergo la testa sotto il pelo dell’acqua dei miei pensieri, resto li, in apnea, finché i polmoni non esplodono. Così a un certo punto riemergo dal pensiero della morte e prendo tutto l’ossigeno vitale che posso. Lo trovo in te amica, nei tuoi occhi, nel nostro parlare, nei tuoi gesti, nella quotidianita del separarci e del ritrovarci …. allora ci vediamo domani? Si certo tesoro a domani!
L’unica cosa che capisco, chiara e netta, è che vivere pensando alla fine è un improbabile, improponibile, impossibile ossimoro esistenziale.
E allora penso che molto, molto banalmente, ciò che ci è dato di fare, anche di fronte ad un evento biografico così potentemente critico e destabilizzante come un cazzo di tumore, è solo di vivere ogni istante con lo sfacciato obiettivo di fare tutto ciò che è in nostro potere per avere un’esistenza appagante. Con chi scegliamo noi. Come desideriamo noi.
La partita è questa.
La mano sta a noi.
La fine è nota.
L’adesso è il nostro asso. “
Un pensiero su “Era il 24 luglio”