Ahò, e rilàssate…

Bum! Catapultata da Roma a Milano, in treno ho dormito quasi tutto il tempo, non mi sono accorta del passaggio. Scendo, abbraccio di afa bestiale e avanti marsch, correre sui corridoi dei binari, correre verso la metropolitana (a Porta Garibaldi lo potevano fare ancora più difficile il raccordo tra ferrovie e metro?!). Mi raccomando, tutti eleganti, vestiti come si conviene, smalto sull’unghia del piede se hai il sandalo, maglietta a mezza manica se hai un po’ di ciccetta molle sul braccio. E, soprattutto, correre. Ma con la schiena diritta, in fila, sulle scale mobili si sta a destra, se hai lo zaino lo metti per terra. Dai, dai correre! Entro nel mio vagone della metro, già stremata, la direzione è giusta. Negli occhi ho i Fori romani, la signora di San Lorenzo, la Via Appia, la spazzatura disordinata ma non puzzolente, Pizza di Spagna, i nasoni (le fontane di Roma). Ho portato con me la mia amica di fegato, era sempre lì con me, le è piaciuto tutto. Arrivo alla mia fermata, ma non la vedo, si richiude la metro. Ahhhh… Correre! Alzati, preparati per scendere subito alla prossima, torna indietro… Correre. Mi raccomando, schiena diritta, elegante e, soprattutto, correre, perché hai perso dieci minuti e li devi recuperare altrimenti… Altrimenti che? Embè? Che è? Rilassate.

E poi penso che fuori dall’ambulatorio di un veterinario romano c’è scritto: “Ricevo dal lunedì al venerdì, il sabato su appuntamento”. Leggo e gli chiedo: “SI, MA A CHE ORA INIZI??? E A CHE ORA TERMINI?”.
E lui mi fa: “Se lo voiono sapè me telefonano”.
Tua Demetra

Roma, treno, profilo

Treno, freddo, fuori ci sono 40 gradi, eppure perché in treno c’è il gelo? Se il treno è quello veloce, è Italo o il Frecciarossa, perché si congela, perché? Mi sono messa addosso tutto quello che ho, golfino sulle gambe scoperte dal vestitino, altro golfino addosso, sciarpa. Vado a Roma, città da me molto amata, farà caldissimo, vabbè! Un conto è stare ai 40 gradi davanti al Colosseo e un conto è starci in via Meda a Milano! Oggi è il primo giorno di libertà, i miei bimbi vanno in montagna con il loro papà, io starò due settimane da sola. So che staranno benissimo con lui quindi io, dopo 12 anni (quando è nata la mia adorata A.) ricomincio a sentire il mio profilo. Qualcuno dentro mi dice “Dove sei stata tutti questi anni?”. Bimbi, lavoro, marito, casa, cercare di tenere le relazioni di amicizia che sono vitali per me. Mi riguardo e mi dico che si vede che il tempo è passato, però anche no, è strano… Come se in questo periodo la memoria avesse un collegamento preferenziale con la “me” di vent’anni fa: se nomino il nome del mio collega di oggi mi viene da dire il cognome del mio compagno di università che si chiama come il mio collega, ma ha un cognome diverso (tipo Michele D. il collega, invece dentro penso, Michele R. il compagno…). Per fortuna però quando nomino il collega lo nomino giusto. Che strano. Devo mandare una email al Centro in cui lavoro e uno zic prima mi viene da dire il nome dell’istituto in cui lavoravo vent’anni fa. Non può essere un caso. Mi rimetto in contatto con il mio profilo, è come se ripassassi con la mano il mio contorno e mi piace.

La mia amica di fegato ha fatto un gran tifo per questa cosa, ogni tanto mi dava qualche segnale, discretamente, dolcemente, pazientemente ma costantemente. So che è felice che mi sto ritrovando. Ora il filo che mi lega a lei si sta allungando, sto arrivando a Roma, speriamo che il gelo che c’è in questo treno le porti, attraverso il filo, un po’ di frescura. Ieri si schiattava di caldo in quella stanza del Fatebene. Dal cuore mi viene da dirle GRAZIE ARTEMIDE. E da dentro sento qualcuno che mi dice ” ben ritrovata Demetra!”.
Tua Demetra