La vita senza. E un telefono che non squilla.

È arrivato il momento amica mia, sono settimane, mesi che voglio scriverti ma stasera lo faccio. Lo sto facendo. Lo faccio, sì che lo faccio.

Sempre più spesso alla sera mi viene da telefonarti, dura una frazione di secondo, il lampo di un desiderio irrealizzabile, l’attimo di un’abitudine che pensavo si dissolvesse col tempo. Invece si fa sempre più persistente, più impellente, non passa, non va via. Aumenta, ritorna. La tua mancanza, che doveva assopirsi col tempo e nel tempo, si fa più urlante, acuta, si fa presenza ingombrante e dolce.

Ti ho sognato. Un sogno pazzesco, senza eguali per me. Salivi le scale di casa mia, andavi verso la camera delle mie figlie. Io da sotto ti osservavo salire, eri di schiena. E sapevo che eri morta, sapevo che gli altri sapevano, sapevo che solo io avrei potuto parlare con te passando per malinconica visionaria. Quando ti sei voltata a guardarmi, tu in alto, io in basso, come sempre, ho sentito un tuffo al cuore. Eri morta eppure eri davanti a me. Mi hai fatto un sorriso appena accennato, alzando il sopracciglio. Eri tu, e sapevi di essere morta. Ti ho seguito fin su e ci siamo sdraiate una accanto all’altra a cavallo dei due letti delle bimbe, sorelle loro sorelle noi. Eri stanca e io tremante. Forse mi hai parlato e forse ti ho parlato, non ricordo. Poi mi sono svegliata

Ti ho incontrato nei sogni. E c’eri per davvero.

Manchi sempre più.

Sai, si stanno realizzando tutte quelle cose della vita che avevamo pensato e sognato insieme, tutti i fatti faticosi, faticosi fatti, per cui ci siamo arrovellate, parlate, ascoltate, tutte le gioie e le soddisfazioni, tutte le paure e i presagi. Tutto arriva, tutto si fa concreto. E io mi sento monca. Mi sono separata tanto tempo fa ormai e sto crescendo le mie figlie, figlie dell’amore e  dei turni, senza te e i tuoi figli accanto. Dovevamo condividere weekend da mamme separate e weekend da donne senza figli, dovevamo progettare vacanze nido e vacanze libertà. E invece vado avanti senza te.

Non da sola, mi hai lasciato molti affetti in eredità, ogni giorno ti sono grata tra la meraviglia e la dolcezza per tutti gli affetti e le occasioni che mi hai lasciato in eredità.

Ma vado avanti senza te. Dovevamo brindare a nuovi lavori e condividere punti di vista, supervisioni, progetti insieme. Invece vado avanti da sola, con altre splendide donne ma senza te. Dovevamo dovevamo dovevamo. Invece no.

Attorno a me la gente giovane si ammala e spesso muore, molto moltissimo si ammala e chissà… E io che non avevo mai pensato alla morte frettolosa ora tremo allo specchio. Non posso, non posso, non posso. Ho figlie troppo piccole, come i figli tuoi. Io non posso. Non voglio. Mi sto dicendo che tremare non serve a nulla, serve vivere pensando di vivere. E stop. Eppure la mia vita, la mia percezione della vita, del corpo, dei sogni, degli alberi, del vento, dei figli, la mia percezione di tutto è cambiata.

Mi  hai reso vecchia amica mia.

Sono passati quasi due anni tesoro, ma a me sembra di aver vissuto vent’anni in un secondo. Vent’anni di esperienze dure e bellissime, vent’anni di dolore e soddisfazioni, vent’anni di esperienza condensati in un respiro. Il tuo, che non c’è più, e il mio, che mangia aria e sigarette cercando di seminare vent’anni in un secondo, lasciare piccole tracce a chi amo, esserci sempre e per sempre. È un’ossessione la mia, me ne rendo perfettamente conto. Ma che ci posso fare se ho sfiorato la morte quando non me l’aspettavo? E che posso farci se lei continua a sfiorare me?

E io che faccio? Vado avanti a testa bassa, stringo i denti e un po’ tocco ferro, cerco di non disperdere le occasioni. Il tempo è prezioso, lo dedico con tutta me stessa alle mie figlie, cerco di non sprecare attimi in cose inutili, mi ostino a coltivare la presenza e la qualità. E cerco di darla, questa presenza buona, a tutte le persone che amo, che siano amore, affetto immenso o amicizia.

Mi sento affaticata amica mia. E spaventata, amica mia. E affannata. E felice di essere qui, in questo mondo. Io si, io ancora.

E tu sei con me, silenziosa, con uno sguardo, con una parola, sei con me con il tuo aiuto costante, i tuoi consigli. E a volte discutiamo, litighiamo, ti mando a quel paese e tu ci mandi me.

Eppure…

Eppure non è giusto, non va bene. Dovevamo condividere la vita nuova, invece no. Dovevamo condividere le vacanze, invece no. Dovevamo condividere ancora risate, pianti, consigli e chiacchire. Litigi e discussioni. Invece no, invece marcio da sola. Circondata da un mare di amore e persone speciali, donne e uomini. Riscopro l’anima di chi ho lasciato e di chi ho considerato nemico, riscopro le mie debolezze e le mie forze. Mi metto in discussione e capisco i miei errori. Cresco. Vivo. Ma marcio senza te. Da sola.

E ora che avrei avuto il tempo di stare ore al telefono con te, tu non rispondi. E non posso nemmeno lasciarti un messaggio.

O forse sì…

Ci sentiamo domani. O quando puoi.

Saida o Afrodite

 

Riflessioni attorno a un fegato ferito

Ci sono diverse lesioni su tutto l’organo

Si, me l’hanno descritto pressapoco così.

Me lo sono immaginato come se avesse ricevuto tante pugnalate… E, in un certo qual modo, penso proprio sia andata così. Penso di sapere da dove far partire tutto ciò. Forse anche da molto lontano. Ma, di sicuro, gli ultimi anni sono stati quelli decisivi. Anni in cui so di aver vissuto scissa. Scissa in una dimensione in cui la mia vita si divideva nettamente tra l’esterno e quello che accadeva in casa.

Fuori c’erano la gioia, i bimbi, gli amici, il lavoro, con tante soddisfazioni e novità. Raccoglievo dei frutti importanti sotto tanti punti di vista e mi sentivo felice per le mie conquiste. In casa, o meglio, con il mio ex marito, invece, le cose andavano malissimo. Da tempo. Una parte di me soffriva ogni giorno, se ne disperava ogni giorno, senza trovare una soluzione, un appiglio, un modo per cambiare direzione.

Nonostante i miei mille tentativi sembrava non ci fosse via d’uscita. La mia ostinazione mi ha fatta ammalare. Avrei dovuto fermarmi prima. Avrei dovuto comprendere prima che non valeva la pena farsi così male. Nonostante i figli. Sì. Nonostante e a prescindere. Quando va male in un matrimonio con i figli, li si fa diventare la scusa per non muovere un passo. Incatenati ai sensi di colpa del dover far pagare loro gli errori di adulti, che non sono in grado di essere tali. Anch’io li ho usati per fermarmi, per placarmi ma, soprattutto, per proteggermi perché avevo paura di agire. Paura di chiudere. Paura di quello che sarebbe stato. Avessi potuto vedere un poco più in là del mio naso avrei capito che poteva andare meglio solo separandomi. Che sarei tornata ad essere Una e non divisa tra due mondi lontani anni luce. Che avrei di nuovo provato gioia profonda e serenità. Che il mio cervello e le mie viscere si sarebbero finalmente liberate e alleggerite di quel pesante fardello e quell’incessante rumore di fondo dei pensieri di chi non ce la fa più a stare in una situazione, ma si sta imponendo di farlo per paura, per vigliaccheria e per il quieto vivere di chissà chi.

Ma non potevo saperlo.

Alla fine, è andata. Ce l’ho fatta a chiudere. Ce l’ho fatta a combattere ancora, e tanto. Anche per chiudere. E, di questo, sono infinitamente felice e orgogliosa! Ma, ormai, il danno era evidentemente fatto. E adesso il mio corpo è venuto a ricordarmelo. Ho lasciato che mi venisse fatto troppo male. Mi sono fatta troppo male. Ho fatto, a mia volta, troppo male. E adesso quelle pugnalate sono anche visibili. Visibili anche dai medici che guardano il mio fegato. Pugnalate inferte con rabbia e disperazione. Quello che ho vissuto. Quello che ho lasciato che accadesse.

Non me ne faccio una colpa. Sia ben inteso. Ma voglio aver chiaro cosa è successo. Voglio aver chiara la mia parte di responsabilita’ in tutto cio’. Per tenerne conto e partire da qui per andare oltre. Sanando queste ferite. Ricucendo. Scacciando. Ripulendo. Pur facendo tesoro di quanto è successo. Una dura e amara lezione di vita. Che nessuno dovrebbe arrivare a vivere ma, evidentemente, necessaria per chi, come me, è capace di tollerare ‘troppo’ e ha da imparare a fermarsi e a fermare prima chi va oltre.

Il mio corpo non dimentica.
Io non dimentico.
Io non offro più il fianco per un’altra pugnalata. Anche fosse solo indulgere nell’ipocrisia del momento.

E il Fegato ringrazia.

Vorrei…

Vorrei farti venire qui con me, per qualche minuto…
Vorrei farti guardare attraverso le porte.
Porte chiuse, spalancate, socchiuse…
Vorrei farti vedere quegli sguardi… Mai semplici, mai scontati… Vorrei farti vedere quegli occhi, quei corpi…
Speranze, illusioni, delusioni, paura, dolore, rabbia… Gioia perché finalmente é l’ultimo giorno qui…
Vorrei farti vedere le mani di chi ti accorre. Vorrei farti vedere i loro passi, i loro sguardi. Sguardi che sanno. Sanno che sai. Sguardi che, comunque sia, sai che tifano per te e ce la mettono tutta. Per te.
Vorrei farti sentire quel pianto straziante per chi, questa volta, non tornerà più…
Vostra Artemide

Pensieri sparsi

Parallellismi
2008
Risponde Rosario, 28 anni, calabrese, gay, ospite di una Comunità Psichiatrica.
Come si sente, oggi?
“Dottoressa, non so che ddddire, io mi sento ddddentro un Arcobbbbaleno di emozioni!!!”. Ricordo ancora la testa ciondolante e le mani vibranti nell’aria a descrivere gli effetti psichedelici del suo Arcobbbbaleno.

2015
Rispondo io.
Come si sente, oggi?
“Di Merda. Grazie. Immagina davvero un altro modo in cui io possa sentirmi?”

Una bellezza
In undici giorni, vasche di soluzione fisiologica in vena, taniche di antidolorifici, un intervento che mi ha resa bionica con due cannucce conficcate nel fegato. Visite ed esami degni di una preparazione spaziale alla Cristoforetti. Ho cambiato stanza perché l’hanno passata agli uomini e mi sono riempita di croste per via del prurito per l’ittero.
Braccia a pelle di leopardo, lividi e bozzi in quantità.

L’allenamento di un marine prevede che…
L’allenamento degno di un Marine prevede: sveglia alle 5.30, prelievi a volontà, luce a pieno regime, la notte d’improvviso e la mattina prima che albeggi. Rumori di ogni genere dentro e fuori dalla stanza. In particolare la notte, altrimenti si rischia di dormire. Pasti frugali, poche cose e possibilmente sempre uguali a se stesse: purea e minestrina. Stesso brodo per giorni e, quando non basta per tutti, lo si diluisce con l’acqua. Aria condizionata a intermittenza e, soprattutto, assenza completa di tende o tapparelle. In particolare, nei momenti in cui il sole picchia duro.
Ci hanno detto che serve per abituarci alle zone con clima particolarmente umido. Credo prevedano di mandarci in missione nelle paludi.
Sullo sfondo la colonna sonora e la memorabile corsa di Rocky sulla scalinata… Devo allenarmi a urlare Adrianaaaa!!! Con la bocca storta e l’occhio cascante… Non è facile, ma di tempo non me ne manca.
Vostra Artemide

Incipit – pensieri sparsi

Chiappe nel buio.
Ospedale. Nella penombra delle luci salva nanna, due chiappe saltellanti, di una certa prestanza. Vestitino bianco e carrellino della spesa… Forse no, non è il carrello della spesa… Fa lo stesso rumore… Reparto uomini? Donne? Reparto misto?! Misto. Vacca miseria, siamo avanti! Ma anche nelle camere? Ah, beh! No! Qui fanno ancora a stanze alterne.

Borsetta da disfare.
Borsetta da disfare. Mutanda da cambiare. Ago in vena. Sacche e bottigliette sospese nello spazio. Luce spenta.
Il dito su per il deretano non me lo aspettavo. In un attimo, zac! Ma questo accadeva tante ore fa.

Più della mamma.
Sguardo assorto nel nulla di tre magiche bowindows. Tra i grattacieli, Unicredit… E’ bene non dimenticare che a ogni minuto trascorso qui, il mio conto si può solo assottigliare. Tu non te lo immagineresti mai ma – è incredibile – puoi star certo che le banche sono sempre al tuo fianco, più della mamma.

Tumore a chi?!
Tumore a chi? Eh? A chi lo stai dicendo? Lo dici a me? Prova a ripeterlo? Dai! A chi?
Chi ha l’età per ricordarsi Scarface può già ritenersi fortunato di essere arrivato fin qui.

Al fegato.
Fegato???? Ma i miei bei calcoli e la mia bella e pingue cistifellea di ormai 15 centimetri non sono più di interesse? Stavamo parlando di quella fino a poche ore fa! Dai! Che cazzo dici? Ti sei bevuto il cervello? Tumore al fegato lo dici a tua sorella! Il mio poi è spaziale: non bevo, non fumo, mai avuta epatite in vita mia, ben 8 anni di astinenza sessuale fino a poco tempo fa! Donna santa purificata e sacra! Pronta per la beatificazione da un momento all’altro e tu mi dici tumore al fegato????? Mavaffan…

Occhi di ragazza.
Avevo un anno quando la cantava Morandi. La mia dirimpettaia ne ha 90. Di anni s’intende. Quattro operazioni per calcoli. Occhi di ragazza. E una parlantina come se quel poco tempo che le resta dovesse essere riempito al più presto di tutto quello che è mancato, c’è stato, è andato, non è andato… Non pulò fermarsi. Il mondo deve sentire, deve vedere. Adesso, subito! Dopo è tardi!
Fasi della vita. La mia e la sua.
Preoccupazioni a confronto.
Tumore vs lividi nel braccio per il prelievo.
Alterno tenerezza a profonda incazzatura!

Il dottore belloccio.
Oggi altro casting di Karl Lagerfield… Qualcuno deve averglielo detto… Che vitaccia!
Bello come il sole, pronto agli scatti e alla folla che lo acclama. Passo da pantera, occhi azzurro mare, fisico palestrato quanto basta… Che bel vedere!
Però…
Però.
Dottore!!! Dottore!!!! Siamo in Chirurgia!!!
Niente. Non mi sente… Riflettori, flash, rumore…
Mi fa un bell’occhiolino e se ne va.
Che bello! Che bel vedere, valà.
Già… Già… Eh già…Ma oggi chi cazzo mi dice come sto???

Vostra Artemide