La vita senza. E un telefono che non squilla.

È arrivato il momento amica mia, sono settimane, mesi che voglio scriverti ma stasera lo faccio. Lo sto facendo. Lo faccio, sì che lo faccio.

Sempre più spesso alla sera mi viene da telefonarti, dura una frazione di secondo, il lampo di un desiderio irrealizzabile, l’attimo di un’abitudine che pensavo si dissolvesse col tempo. Invece si fa sempre più persistente, più impellente, non passa, non va via. Aumenta, ritorna. La tua mancanza, che doveva assopirsi col tempo e nel tempo, si fa più urlante, acuta, si fa presenza ingombrante e dolce.

Ti ho sognato. Un sogno pazzesco, senza eguali per me. Salivi le scale di casa mia, andavi verso la camera delle mie figlie. Io da sotto ti osservavo salire, eri di schiena. E sapevo che eri morta, sapevo che gli altri sapevano, sapevo che solo io avrei potuto parlare con te passando per malinconica visionaria. Quando ti sei voltata a guardarmi, tu in alto, io in basso, come sempre, ho sentito un tuffo al cuore. Eri morta eppure eri davanti a me. Mi hai fatto un sorriso appena accennato, alzando il sopracciglio. Eri tu, e sapevi di essere morta. Ti ho seguito fin su e ci siamo sdraiate una accanto all’altra a cavallo dei due letti delle bimbe, sorelle loro sorelle noi. Eri stanca e io tremante. Forse mi hai parlato e forse ti ho parlato, non ricordo. Poi mi sono svegliata

Ti ho incontrato nei sogni. E c’eri per davvero.

Manchi sempre più.

Sai, si stanno realizzando tutte quelle cose della vita che avevamo pensato e sognato insieme, tutti i fatti faticosi, faticosi fatti, per cui ci siamo arrovellate, parlate, ascoltate, tutte le gioie e le soddisfazioni, tutte le paure e i presagi. Tutto arriva, tutto si fa concreto. E io mi sento monca. Mi sono separata tanto tempo fa ormai e sto crescendo le mie figlie, figlie dell’amore e  dei turni, senza te e i tuoi figli accanto. Dovevamo condividere weekend da mamme separate e weekend da donne senza figli, dovevamo progettare vacanze nido e vacanze libertà. E invece vado avanti senza te.

Non da sola, mi hai lasciato molti affetti in eredità, ogni giorno ti sono grata tra la meraviglia e la dolcezza per tutti gli affetti e le occasioni che mi hai lasciato in eredità.

Ma vado avanti senza te. Dovevamo brindare a nuovi lavori e condividere punti di vista, supervisioni, progetti insieme. Invece vado avanti da sola, con altre splendide donne ma senza te. Dovevamo dovevamo dovevamo. Invece no.

Attorno a me la gente giovane si ammala e spesso muore, molto moltissimo si ammala e chissà… E io che non avevo mai pensato alla morte frettolosa ora tremo allo specchio. Non posso, non posso, non posso. Ho figlie troppo piccole, come i figli tuoi. Io non posso. Non voglio. Mi sto dicendo che tremare non serve a nulla, serve vivere pensando di vivere. E stop. Eppure la mia vita, la mia percezione della vita, del corpo, dei sogni, degli alberi, del vento, dei figli, la mia percezione di tutto è cambiata.

Mi  hai reso vecchia amica mia.

Sono passati quasi due anni tesoro, ma a me sembra di aver vissuto vent’anni in un secondo. Vent’anni di esperienze dure e bellissime, vent’anni di dolore e soddisfazioni, vent’anni di esperienza condensati in un respiro. Il tuo, che non c’è più, e il mio, che mangia aria e sigarette cercando di seminare vent’anni in un secondo, lasciare piccole tracce a chi amo, esserci sempre e per sempre. È un’ossessione la mia, me ne rendo perfettamente conto. Ma che ci posso fare se ho sfiorato la morte quando non me l’aspettavo? E che posso farci se lei continua a sfiorare me?

E io che faccio? Vado avanti a testa bassa, stringo i denti e un po’ tocco ferro, cerco di non disperdere le occasioni. Il tempo è prezioso, lo dedico con tutta me stessa alle mie figlie, cerco di non sprecare attimi in cose inutili, mi ostino a coltivare la presenza e la qualità. E cerco di darla, questa presenza buona, a tutte le persone che amo, che siano amore, affetto immenso o amicizia.

Mi sento affaticata amica mia. E spaventata, amica mia. E affannata. E felice di essere qui, in questo mondo. Io si, io ancora.

E tu sei con me, silenziosa, con uno sguardo, con una parola, sei con me con il tuo aiuto costante, i tuoi consigli. E a volte discutiamo, litighiamo, ti mando a quel paese e tu ci mandi me.

Eppure…

Eppure non è giusto, non va bene. Dovevamo condividere la vita nuova, invece no. Dovevamo condividere le vacanze, invece no. Dovevamo condividere ancora risate, pianti, consigli e chiacchire. Litigi e discussioni. Invece no, invece marcio da sola. Circondata da un mare di amore e persone speciali, donne e uomini. Riscopro l’anima di chi ho lasciato e di chi ho considerato nemico, riscopro le mie debolezze e le mie forze. Mi metto in discussione e capisco i miei errori. Cresco. Vivo. Ma marcio senza te. Da sola.

E ora che avrei avuto il tempo di stare ore al telefono con te, tu non rispondi. E non posso nemmeno lasciarti un messaggio.

O forse sì…

Ci sentiamo domani. O quando puoi.

Saida o Afrodite

 

Il Natale che avrò mi basterà

Potrebbe essere un Natale triste, anzi pessimo. Ma non lo sarà. Potrebbe essere un Natale fatto di ricordi di affetti perduti, ma non lo sarà. Potrebbe essere un Natale che per me, come per molti nel mondo, immagino, significhi ripercorrere con la memoria chi non c’è più attorno ai fornelli e alla tavola imbandita , assente perché adesso sta come te tra le rose o per le scelte della vita.

I giorni appena trascorsi hanno voluto mettere alla prova la mia gioia e il mio ottimismo. E così ecco immagini che si rincorrono mentre accendo il camino o faccio la spesa.

C’è quello che non è più mio marito, che mi aiuta ad apparecchiare una tavola per quattro, sforzandosi con me di farla apparire sontuosa e allegra. C’è mia madre, elegantissima e insicura sulle sue gambe fragili di donna abituata ad andare in taxi, che seduta sulla poltrona migliore contempla i risultati degli addobbi, ansiosa di iniziare dalle tartine al caviale. C’è mia nonna, disorientata ma sempre allegra, che manda gridolini di felicità e si commuove. E c’è mio padre, sempre di fretta da una famiglia all’altra, che rispetta però le feste con tutti e ne moltiplica i giorni. E poi, lontano nei ricordi, c’è mio nonno, così serio e convinto, l’unico che a tavola prega, che gli altri sono atei o mezzi ebrei. E infine, sopra tutti, ci sei tu, tu di quando eravamo figlie di famiglie separate, tu con le tue donne, tua madre, tua sorella, tua nonna, attorno a un tavolo rotondo enorme, sedute con noi donne, mia madre, mia nonna ed io. Ed era il natale delle famiglie reinventate, femmine allegre che brindano, ridono, cantano, cucinano senza lasciarsi abbattere dalle strade della vita. Noi, io e te, le cucciole di famiglia, anche a 25 anni. Noi che intratteniamo le nonne e le madri, con tua sorella che osserva divertita. Noi, che non è Natale se non stiamo tutte insieme. Noi, arrabbiate, bocciate, contestatrici, ribelli, che la cosa più dolce del mondo è fare tutte famiglia insieme. Noi che ti penso da giorni e mi manchi più che mai, che ti sento parlare e ridere, che ti sento contestare regole e riti, che ti sento così dentro e così fuori da me. Noi che sono sono rimasta soltanto io. Noi che eravamo Natale insieme.

Questo Natale no.
Questo Natale, nulla. Di questo, nulla.
Uno alla volta, per diverse ragioni, siete spariti tutti.

Nessuno di tutti voi attorno alla mia tavola.

Eppure…

Ieri mi ha chiamato Persefone, che sa andare nel profondo con la leggerezza di un dipinto ad acquerello e riemergere con parole senza perdere il rigore del pennello. Mi ha chiamato con la sua voce rotonda e dolorosa, la sua voce bella e vagamente roca. E, molto seriamente, mi ha restituito il Natale.

Ci ostiniamo a vedere quello che ci manca – ha detto – e perdiamo di vista quello che abbiamo…

Allora ecco, io ho molto. Ho pochi amiche e amici veri, e questa è ricchezza, perché i diamanti purissimi sono pochi ma valgono un tesoro. Ho un amore in tutte le sue forme di dolcezza, allegria, devozione, accoglienza, rispetto, crescita, comprensione, complicità, confronto, scontro, leggerezza e profondità. Ho un padre e la sua inesauribile moglie, che riescono a trasformare in festa anche una colazione del mattino. E una sorella, che corre, corre, corre da sua madre, da nostro padre, a destra e a manca ma non si scorda mai di nessuno. Ho poi una vita in cui due persone che si sono molto amate hanno costruito una famiglia, non perfetta, non solida, ma piena di speranze autentiche ed errori umani. Ci abbiamo messo il peggio e il meglio di noi e se è fallita non vuol dire che non mi abbia dato e lasciato in dono l’esperienza più intensa della mia vita. E ho, prima di tutto, due bambine magnifiche, che mi insegnano ogni giorno la complessa leggerezza della vita, mi insegnano il calore e le risate, la pazienza e la comprensione, la compassione e il litigio, l’amore senza riserve.

Ecco, attorno alla mia tavola, stasera, nell’attesa del Natale, saremo noi tre, io e le mie figlie. Non dieci, non quattro: solo tre. E mi sto inventando un nuovo modo di fare famiglia, cucinando assieme, rilassandoci, ridendo, apparecchiando solo per noi una tavola bella e fatta con cura. E credo tutto questo sia un buon insegnamento per me, una ricchezza in più.

Domani poi sarà Natale, e ci stiamo inventando da giorni un Natale in quattro, nuovo, diverso, insieme. Con un papà, una mamma, due figlie entusiaste e aperte alle nuove forme della vita.

Dopodomani, non so gli altri, ma per me…sarà ancora Natale, con mio padre e tutta quella parte di famiglia che continua ad esserci, sempre. Prendendo le forme fantasiose che servono in ogni diverso momento. E prima ancora sarà pranzo con le amiche di una vita, e tutti i figli che abbiamo messo al mondo insieme, messi in scala d’altezza, da chi quasi ha la patente a chi da poco sa leggere. Sarà semplice, sarà caldo.

Ecco cosa ho, ho affetti in diverso equilibrio, ho amore in diversa forma, ho amicizia in luoghi lontani ma vicini al mio cuore. Chi sta a Milano, chi non sta più qui, chi sta lontano, chi sta tra le rose.

Non mi mancherai, dunque, perché sarai con me. E non penso che là dove sei proverai tristezza o mancanza, piuttosto saggia e illuminata completezza.
Buon Natale tesoro mio. E che sia un Natale di pace, una Natale di ringraziamento, una festa del cuore. Ma davvero.

Afrodite, Saida

Non mi manchi che…

Non mi manchi che piango tutti i giorni.

Non mi manchi che se passo da un posto tuo mi struggo con la mano sulla fronte come Eleonora Duse.

Non mi manchi che penso a tutte le cose che volevamo (e volevamo!) fare insieme.

Mi manchi che per esempio oggi son stata dall’avvocato per separarmi e mi sono sentita forte, ma ho dubbi e paure, e allora vorrei condividere con te questa giornata, i dubbi, le ansie, il coraggio e le sdrammatizzazioni….

Ecco: così mi manchi.

E allora le ho raccontate a tua madre e alla mia amica Silvia quella storica. Che son meravigliose. E dicono cose fondamentali, preziose, di sostegno. Ma non dicono “mah…” oppure “io non starei a perder tempo su questi pensieri adesso” o, ancora, “fanculo, c’hai dei controcoglioni così”. Dicono altro, e ringrazio il cielo di averle. Ma la tua voce, il tuo punto di vista divergente mi manca. Questo sì, eternamente. Ma forse te l’ho raccontato lo stesso e tu mi hai detto la tua.
Tua Afrodite, qui nel mondo tua Saida

Umberto Eco, la morte e i coglioni…

Ciao tesoro, visto che ti è toccato andartene subito dopo David Bowie e subito prima di Umberto Eco (hai scelto un periodo parecchio Vip), ti posto qui una deliziosa considerzione sulla morte (acuta e paradossale) proprio di Umberto Eco. Secondo me ti piacerà (già ti vedo col sopracciglio alzato che dici “ue’ beleé, non pigliarmi per il culo, facile fare umorismo con me adesso eh”… Ma tu leggila, e so che alla fine ridacchierai perché ti sarà piaciuta). Quando hai modo leggila, fino in fondo. Che la chiave è alla fine, ovviamente alla fine.

Mi manchi, ma come vedi ti penso.

Tua Saida-Afrodite

  

Sei in me (e a volte ridacchi)

Entro in punta di piedi in un luogo che era un po’ casa mia… Ho paura di fare baccano in questo blog, disturbare il silenzio del lutto, il dolore degli altri. Ma entro. Perché è (anche) qui che tutto è avvenuto. Questo blog non finirà. Non è finito l’1 febbraio 2016 con il tuo ultimo respiro. Non finirà ora. Perché tu non vorresti. Perché ci hanno letto in tanti e tanti hanno gioito e sofferto con noi. E non si abbandona la gente così. Forse si trasformerà. Non sappiamo ancora. Intanto eccomi qui. Comunque.

Eccomi qui a cercare parole dopo le parole struggenti trovate da Atena, eccomi qui a pensare e ascoltare me stessa e gli altri. E dunque…

E dunque ho capito che ci sono mille modi per soffrire e per dire addio o arrivederci, mille modi di attraversare il fuoco e la notte. Io l’ho fatto a modo mio, senza sapere come l’avrei fatto. L’ho fatto e lo sto facendo diversamente dalle altre “noi”, noi cinque. Diversamente da ognuno. A modo mio, come chiunque.

Non sono triste, non sono mai stata triste dal momento in cui hai respirato l’ultima volta quest’aria densa di vita. Ho pianto, molto. Ma non sono mai stata triste se non pensando a chi era ed è terribilmente triste per te. Ma io non sono triste. E’ strano. Ho pianto a dismisura accanto al tuo corpo senza più vita. Ti ho accarezzato e augurato buon viaggio. Ero straziata. Rassegnata alla tua impermanenza. Ma non triste. Vederti soffrire, quella era tristezza. Vederti arrancare, tu così coraggiosa e forte, quello era dolore. Ma sapere che sei altrove no, non è triste. Non ti ho perso. Sei con me. Sei energia, forma del mondo, sorrisi e occhi, parole e pensieri. Ci sei. Ci sei “contemporaneamente” e senza tempo. Ci sei tutta, bambina, ragazza, donna e vecchia. Sei senza tempo e sei in me. E tutto questo è accaduto all’istante. Che strana e dolce sensazione… All’istante…

Ed eccoti ora, molto prosaicamente, un elenco di cosa mi hai già insegnato in questi 15 giorni…

Sono diventata vecchia. Come te. Perché nonostante i tuoi anni non sei morta giovane. Sei morta vecchissima.

Nel momento in cui sei volata via ti sei portata via la mia parte leggera, ma improvvisamente mi hai donato coraggio. Sono uscita sull’aia di notte e ho ascoltato il vento. E ti ho sorriso

Ti sei portata via la mia leggerezza dei 12 anni. E quella dei 20. E dei 30. E l’allegria dei 40. Ma mi hai regalato la leggerezza della vecchiaia, che sa accettare, senza disperarsi più. Che sa guardare con un sorriso di rughe il sorriso di un bambino sapendo di aver già sorriso così, in un tempo lontano, ma che non sarà più possibile farlo in quel modo. Lo faremo insieme, in un altro modo. Sorrido a te amica, com pacata accettazione. Sorrido perché ho capito che tu ci sei. Ci sei in modo diverso. Ci sei in un sorriso anziano, non più fatto di bevute e discorsi, ma di silenzi condivisi. Ci sei. Nel vento e in me. Sono improvvisamente diventata vecchia. E va bene così.

Mi hai lasciato ricordi che non riesco più a decifrare uno alla volta. Arrivano tutti insieme e si sovrappongono, illeggibili ma potenti. Il passato, il presente e il futuro esistono adesso, in me. Non hanno più la stessa forma di prima, ma ci sono. Nuovi. Tu sei in me. Presente come non mai. Senza contorni precisi. Presente in ogni istante, presente in ogni istante di te, di me, di noi. Sei tutta in una volta, costantemente, serenamente. Sei in me.

Mi parli. Mi parli quando meno me l’aspetto e ora mi stai anche accarezzando. Mi parli e scuoti la testa, mi parli e mi incoraggi. Non ridiamo più insieme. Non discutiamo. Non brontoliamo. Ma mi parli. E io parlo a te. E’ un dialogo strano. Mentre guido sento che mi dici che sto facendo le cose bene e io te le racconto senza parlare. Mentre sto per addormentarmi mi dici di non preoccuparmi, che tutto è cambiato e nulla cambierà. Mentre osservo una persona e faccio pensieri sento anche quello che pensi tu di lei. Non che “penseresti”. Che pensi. Non ragiono “come se”, non mi chiedo cosa diresti. Ti sento viva in me. Sento la tua voce silenziosa che mi mette in guardia dal fare cazzate. Mi dici “proteggiti” ma me lo dici a modo tuo: sento che mi dici “fa balà l’oech”. Ecco, spesso parli in milanese. Che buffo. Ti vedo mentre scuoti la testa ridacchiando sorniona. Ti sento mentre sto con tua madre e tua sorella e mi sbeffeggi bisbigliandomi “ora son tutti cavoli tuoi”.

Sto imparando ad essere ordinata e a prendermi cura degli spazi in cui vivo. Non rimando a domani quello che posso fare oggi. Tu te ne accorgi. Ridacchi. Perché finalmente son diventata un po’ come te. Mi dici brava. E ridacchi. Spesso ridacchi. E ti commuovi. Pensando a noi che siamo qui.

E non lo so se ci proteggerai, non so se ti paleserai in un qualche modo, non so nemmeno se ti rincontrerò. Forse un giorno ci fonderemo nel vento parlando una lingua diversa, quella dei fiori e dei sassi. Forse. Non so se “ci sei esattamente”, ma so che ci sei. Io sono atea, non ho un paradiso o un dio. Ho le persone però, quelle che su questo mondo hanno lasciato un segno e sono diventate movimento senza tempo, energia che sta ovunque. E dunque so che lì ti posso trovare. Nel vento, nelle opere della persone che ti hanno amato, nell’erba che cresce, nei miei occhi, nel mio cuore. Continua a parlarmi a modo tuo. Continueremo ad essere amiche e sorelle, a lavorare insieme per quel che ci è concesso, per questo e in questo bizzarro mondo fatto semplicemente di esseri molto umani.

Grazie.
Tua Saida, un tempo detta Afrodite

Il pudore sacro della carne

Che bello vederti amica mia. Che bello abbracciarti, accarezzarti, sentirti vicina.
Che bello e difficile toccare il tuo corpo malato e mutato. Quante volte in 35 anni ci siamo abbracciate strette, ma oggi è stato diverso. Quante volte in 35 anni ti ho spalmato la crema solare sul corpo, ma oggi è stato tutt’altro.

Sentire il tuo ventre – ventre cambiato, trasformato, violato dal cancro – il tuo ventre appoggiato al mio, sentirlo sul mio ventre mentre ci stringevamo forte, non è stato semplice, ma è stato un dono prezioso. Il pudore di incontrarti così da vicino, di respirare con te lo stesso respiro, lo stesso ritmo lento che calma il pianto… La mia pancia contro la tua per dare pace al dolore, le braccia che si intrecciano per dirci a vicenda “stammi vicina”. Quante volte è successo in 35 anni… Ma non è mai successo così.

Curare la tua pelle, così frustata dalle lenzuola del letto, così secca e provata da chiedere unguenti e rimedi. E allora prendere lentamente la pomata, svitare il tappo, prenderne un po’ e metterla sulla mia mano, con timore, rispetto, tremore. Chiederti se potevo toccarti, se il freddo delle mie mani d’inverno ti dava fastidio. E lenire con infinita attenzione la superficie del tuo male. Con rispetto, reverenza. Con tanto inaspettato pudore.

Quel tuo corpo che tante volte ho incontrato, con cui ho fatto la lotta da piccola, con cui ho fatto la doccia al mare… Quel corpo di donna come me, così normale e bello, che tante volte ho visto provando vestiti, giocando a misurarci la bellezza allo specchio, incrociandoci in bagno come solo le donne con leggera normalità fanno… Quel tuo corpo è come fosse ora per me un corpo vergine, fragile, sacro.

Com’è strano, dolce amica di una vita, toccare il tuo corpo così, quanta intimità ferita, quanto imbarazzo. Perché questa volta non stiamo parlando di un corpo in spiaggia da ungere con creme alla moda. Stiamo parlando di carne malata, sofferta, carne delicata e spaventata, ferita. Di cui mi sono presa cura come fossi una mamma. Come fossi una figlia. Come fossi un amore. Ma è così strano… Io sono solo un’amica. Non sono carne della tua carne. Non sono sangue del tuo sangue.

Quanta intimità, quanta sacralità. Grazie di avermi lasciato entrare nel tuo spazio profondo. Grazie di aver condiviso il respiro che asciuga le lacrime. Grazie per avermi affidato la tua fragile pelle. Grazie per avermi concesso di prendermi cura di te.

Tua Afrodite

Quando gli esseri umani diventano divini

Servono pochissime parole per questo video: da ascoltare e guardare. Africa dei Toto in versione corale, ma che coro! Te lo regalo qui, perché è pura bellezza da pelle d’oca. Esseri umani capaci di creare bellezza, sì, come dici tu. (Ti ricordi Artemide del mio cuore quando su questa colonna sonora preparavamo le coreografie di ginnastica artistica? Che due ragazzine! Di gomma!) ❤

Tua Afrodite

 

La vita è bella, comunque… (Bowie, Decathlon e barbera)

Ciao stellina mia, mentre ti scrivo, uno dei miei tre gatti dorme sul cuscino accanto a me. Oggi è stata una giornata dignitosa. Finalmente il sole ha sbaragliato la nebbia e io sono più serena. Oggi ho fatto una Tac ai polmoni, un’ecocardio, un’eco al seno e la mammografia. Quando qualcuno che amo si ammala di cancro mi prende così, devo fare il check-up, che mi viene l’ipocondria. Tutto nella norma: praticamente mi hanno prescritto due ore happy hour al mese con le amiche. Stress. Mettici anche che sabato ho scritto un post su te e Bowie e il Duca Bianco/Ziggy Stardust/Starmen/Colonna sonora della nostra adolescenza dopo due giorni è: schiattato… Minimo una Tac ci sta tutta… Insonma, sorella mia, son giorni tosti, ma tu non molli: flebo di qua, apri di là, aspira di qui, cura di lì…

E insomma, nulla ancora è stato scritto: oggi mi dicono tu ti sia scofanata una santabarbara di verdure in pinzimonio e per domani hai chiesto la tartare di salmone. Sticazzi amica, che dio ti conservi l’anima da gourmet!

Intanto io oggi ti ho portato con me da Decathlon (lo so, non è un granché): con me hai fatto acquisti in saldo, compulsivi, e ci siamo portate a casa tre felpe con scollo a V (che non metterò mai), due felpe taglia 6 anni, due paia di shorts da aerobica taglia 6 e 5 anni più due barrette al cioccolato Ritter Sport che nel l’emergenza aiutano sempre. Con cotanto carico nel baule, ho fatto la cosa più bella: ho guidato fino a casa fra i prati verdissimi baciati dal sole (ascoltando Bowie a manetta, lo ammetto, ma non ho pianto). All’orizzonte le mie colline. E pure le Alpi imbiancate.

Stasera poi ero a casa sola con le bimbe. Cena svacco: sushi, avocado e barbera.

Ah, dimenticavo, un mio amico, (in realtà colui che mi ha venduto la sua cascina, una gran bella persona) che non ti conosce ma legge il blog, mi ha scritto parole dense per te. E stasera il mio marito-quasi-ex-marito ha meditato e pregato per te col suo gruppo buddista. Grazie. A lui, a loro. Pure se sono atea totale.

Mi piace la vita. Sorella. Mi piace vivere. Mi piace il sole che cura il dolore, le curve da fare troppo veloci e l’adrenalina da autovelox, mi piace il sorriso della commessa che mi dice davvero buona giornata e lo scritto inaspettato di un amico quasi virtuale . Mi piace sgommare tra le colline, ascoltate musica in auto, mangiare sushi fra Tanaro e Po. Amo le persone. Tanto. E i gatti e i cani. Soprattutto sul cuscino (diversamente da te, io, io non sono allergica). E le stelle che stasera brillano in cielo con una Stella Nera in più.

Manchi tu, però, coi tuoi bimbi che raccolgono le mie ciliegie. Ma mi piace la vita, sempre. Ma manchi tu. Sento però  che tra flebo, siringhe, tira e aspira, cuci di qua e taglia di là, forse un giorno ti riporto qua. E se non ti porto qua ti faccio ascoltare Starman. E balliamo e cantiamo nel cuore. Oggi, insomma, c’era il soe.

Tua folle Afrodite

Tu e Bowie (e anche un po’ me)

Visto che magari in questi giorni hai altro cui pensare, ci tenevo a ricordarti che ieri (ieri, sì che pure io fatico a star sul pezzo in questi giorni) è stato il compleanno di David Robert Jones, in arte l’incommensurabile David Bowie. (Ne ha compiuti 69, che essere astemi alle volte non paga, invece calarsi l’impossibile pare giovi…)

Ma il punto non è questo. Il punto è che Bowie mi ricorda automaticamente te (tanto quanto Andy Warhol tua madre). Anticonformista, creativa, ribelle, androgina il giusto, visionaria, genio (ho calcato un po’ la mano, vabbè, ma ci sta tutta). Pure a volte lo stesso taglio di capelli e il fisico al contempo etereo e statuario. Nel mio cuore vi assomigliate proprio. E tu lo adori. Bowie sei tu. A prescindere.

Quindi, cosa ti dedico amica mia sorella amata? Di primo acchito direi Heroes. O Rebel Rebel. Ma alla fine opto per Let’s Dance, dall’omonimo album (1983) che ci ha accompagnato tra medie e liceo, per dire. E poi, visto che c’è da ballare, tesoro, ci tocca ballare. Come sempre.

Lo trovi qui, non Bowie, il video… Let’s Dance – David Bowie

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Tua, sempre tua, tanto tua, Afrodite

Di chi è un corpo malato? (Preghiera)

Di chi è il destino di una persona malata, gravemente malata, di chi è? Di chi è il suo corpo, da curare o accogliere, di chi è? E i suoi sentimenti? Le sue paure? Chi le ha in mano, chi ne governa i fili, di chi sono? Non certo del primario strapagato con seguito di tirocinanti, del dottorone che torna dalla sua bella sciatona invernale con grappini e polente, che senza guardare chi ha davanti, senza guardare il lavoro d’equipe che dura da settimane, decreta: febbre oncologica, tutto nella norma, nessuna infezione, portatela a casa con una fiala di cortisone. Di chi è il destino di una mamma, bellissima, giovane, la sorte di una professionista che aiuta altre persone a trovare la propria strada di felicità? No, non è nemmeno della dottoressa ostinata e accorata, che da giorni cerca e scandaglia, come un astronomo tra galassie inesplorate fatte di batteri, antibiotici e misteri insondabili. Non è nemmeno suo, no, nonostante voglia capire e curare, nonostante si rifiuti di arrendersi. Non è nemmeno suo. Perché se non troverà, dovrà sapersi arrendere, mollare, lasciar andare. Di chi sono allora il corpo della mia amica, la sua anima, il suo sorriso, la sua rabbia, la sua voglia di vivere e combattere, di chi sono tutti questi tesori coltivati in 46 anni? Non del suo compagno, no, neppure suoi anche se la ama alla follia: non può scegliere per lei, non può capire dove gli specialisti non capiscono, non può accollarsi una decisione troppo grande, non può sostituirsi a lei adesso; può solo guardarla negli occhi e darle amore e coraggio. E’ dunque allora di sua madre questo corpo, questo destino, di sua madre che l’ha partorita, cresciuta e poi lasciata camminare da sola? O di sua sorella, che è sangue insieme a lei? O delle sue amiche di un’eternità, che al pari del suo amato compagno non sanno che fare ma le darebbero la luna? Forse è dei suoi figli, carne della sua carne, così piccoli da ignorare persino la situazione? Certo non loro, neppure loro, che avrebbero il diritto di chiedere un miracolo e vederlo esaudito. Di chi è l’amica mia, la sua anima di chi è?

Non lo so amica mia qual è la strada più giusta per te e per il tuo male, vorrei dire che tu sei di chi ti ama veramente e quindi poter scegliere il meglio per te: ma tu sei solo tua, tua e del corso naturale delle cose. Lasciamo da parte l’onnipotenza, lasciamola da parte in ogni caso, che noi si sia amici, innamorati, medici, demoni o santi. Una persona ha il diritto di scegliere in prima persona, fino all’ultimo. Scegliere e arrendersi alla vita. Capire, certo essere informata o scegliere di non sapere, ma vivere fino alla fine da soggetto, non da pupazzo, non da cavia.

Io non lo so cosa è meglio per te, qual è la strada giusta e quale, invece, apre una porta sul buio. Ma tu sai cosa senti, sai cosa ti dice il tuo corpo, sai cosa vuoi e sai anche cosa vuoi farci credere. Sai soprattutto quale strada stai percorrendo assieme al tuo corpo. Scegli tu dunque la tua strada, amica mia, pezzo di me. Non lasciare che lo facciano un diverbio tra medici o un eccesso di amore. So che saprai trovarla e poi la insegnerai a noi. Qualunque sia la strada che percorrerai noi saremo accanto a te. Ma scegli tu, ti prego, solo tu, in un modo creativo, che saprai trovare e farci capire. In un modo connesso al naturale corso della vita. Resta in empatia con la Natura, non cedere alla rabbia se puoi. Nessuno ha il diritto di giocare la partita al posto tuo. Non è mai accaduto. Non voglio che nessuno lo faccia accadere ora. Dunque, ti supplico, prendi il timone della nave finché non deciderai di lasciarlo tu e affidarlo a chi vorrai, facci capire tu cosa vuoi per te stessa. Amati, deponi la rabbia oppure fanne la tua arma vincente, amati comunque, e trova il modo. Non ti arrendere, non ostinarti. Non arrendiamoci, non ostiniamoci. Lascia Divino che su di noi scenda la tregua, che ci si affidi alla vita, che si abbandoni l’onnipotenza, che si lasci scorrere il fiume e che si scopra cosa davvero è l’Amore. Amica mia. Noi siamo qua.

Tua Afrodite