L’argilla, il dolore e la metafora del gatto

Ciao. Scusa il cattivo gusto (non so da voi ma qui è la notte di Halloween…). Ciao amore mio. Ciao amica mia. Eccomi. Strano. Quanto mi manchi. Quanto mi manchi proprio… Vivo senza te da mesi. E me la cavo molto bene. Vivo senza te ma mai, mai un attimo non sei con me. Sei con me in ogni gesto parola pensiero. Oggi ti scrivo perché oggi è tanto difficile. Oggi mi manca la tua risata disincantata, mi manca il tuo punto di vista divergente, mi mancano i tuoi abbracci con gli occhi azzurri e le mani grandi e le braccia lunghissime. Mi manca la tua carezza con quel sorriso che sembra una lacrima.

Quante cose ho fatto senza di te in questi mesi, quante volte avrei voluto raccontartele e ti ho sentito fiera di me. Quante volte ho pensato di non voler morire anche io, perché ho troppe e urgenti strade da percorrere. Quante volte mi son detta: brava. E ho sentito la tua voce al posto mio.

Sai, mi sono separata, e non è stato per niente facile, e ho pensato a te, chiedendomi cosa avessi passato tu. Ho pensato a te e a quello che io non avrei fatto nei tuoi panni e invece avrei fatto se fossi stata in te. E ho capito che non ho capito un cazzo… Perché ognuna di noi due aveva e ha debolezze e forze opposte. E poi perché siamo tutti bravi a giudicare finché non tocca a noi…

Ho pensato alle tue pene e ai tuoi dolori, temendo di ammalarmi come te. Desiderando, soprattutto, di non ammalarmi come te. Pensando che da tutta questa bruttura IO voglio uscirne viva. Non voglio che il mio corpo sia la spugna dei miei dolori. Non voglio. Eppure mi sento patologie marziane in ogni centimetro di me: tumori apocalittici, eczemi indicibili, affanni e aritmie da scalatore dell’Everest. A volte penso che, nel caso, vorrei offrirmi alla scienza per nuovi farmaci sperimentali. Quindi, poi, per esorcizzare, fumo una bella Marlboro rossa. La spengo e via, mi faccio percorrere da macchine ecografe curiose, raggi X indiscreti ed esami del sangue da piccolo chimico. E il responso è che STO BENE. Certo, sto bene, sto bene perché prima di tutto sono viva e vivo senza risparmio. Onoro questa vita come mi hai insegnato tu. Dio bono amica, chefaticadellamadonna PERO’.

Ho avuto e ho momenti bellissimi, soddisfazioni enormi, un mare di amore. Che ricevo e che dono. Sono una persona fortunata. Eppure genero anche dolore, dolore e rabbia. Rabbia a palate. Ma perché esistono persone che pensano a chi hanno amato come un’esclusiva proprietà? Perché esiste gente fragile che non sa lasciare andare? Perché ci sono uomini (anche donne ragionevolmente credo) che spendono la loro vita nell’odio dell’altro invece che nell’amore per se stessi e per il prossimo? Come sarebbe più facile e utile e giusto, amica mia, considerarci tutti unici e liberi, strade che si incontrano e marciano insieme per lunghi o brevi tratti e poi si separano senza astio… Siamo briciole infinitesimali di un microscopico attimo lungo la Storia di questo minuscolo pianeta, eppure ci affanniamo come se fossimo i re dei re, i sovrani del mondo… La vita dura un attimo, che ci sia di mezzo un cancro o un destino centenario. Un attimo da vivere in pace. Non voglio permettere che la mia persona sia il ricettacolo dell’odio altrui, non voglio camminare odiando il prossimo. E’ tutto così relativo e più semplice… Eppure pare un’utopia, generalmente tacciata di egoismo.

Oggi mi è venuta a trovare un’amica che non vedevo da vent’anni. Ritrovata sui social. E’ un’artista bravissima. Le ho acquistato due grandi fotografie e lei, dalla Puglia, me le ha portate di persona. L’ho presa in stazione, abbiamo pranzato a casa mia insieme, è ripartita Non so quando la rivedrò. Ma vale una vita l’impegno che ci abbiamo messo per fare sì che ciò accadesse. Siamo state brave. Energia spesa bene. Questo vale. Non gli insulti, le recriminazioni, la cattiveria reiterata…

Com’è difficile tesoro mio ricominciare un’altra vita serena, un’altra vita che non va CONTRO nessuno ma certamente ferisce… Perché essere vivi implica anche ferire ed essere feriti… E io lo sento il dolore che provoco, lo sento e non lo vorrei. E devo fare i conti col fatto che ci sia, accettarlo, rispettarlo. Ma non a costo di lasciarmi ferire, offendere pesantemente, deturpare la serenità, confinarmi nella paura. Se rispetto il dolore degli altri voglio rispettare anche il mio dolore. E proteggermi.

Hai passato anche tu tutto questo? O forse l’uomo che dipingevi non era così tremendo come lo dipingevi? Una parte di me vorrebbe avvicinarlo, riconciliarmi con lui… Perché le cose hanno diversi punti di vista. E forse io ho scelto solo il tuo. E vedo solo il mio.

Mi piace pensare che in ogni persona ci sia il buono. Anche se ora per me è tempo di cambiare strategia e passare allo scudo atomico. E mi dà dolore proteggermi dovendo mettere in luce il lato cattivo dell’altro. Ma va bene così. La Guerra Fredda aveva il suo lato di Pace.

Per dirla fuori da giri di parole, guardandoci nelle palle degli occhi: sono giorni di merda vera. Mi è pure morto un gatto (che tu dici, sembra una battuta, chettifrega di un gatto)… Mi è morto rantolando davanti a me e alle mie bimbe, uno schifo. Ma davanti allo schifo tiro fuori il meglio di me. E così sotto una pioggia di merda mi son messa gli stivali da equitazione, ho imbracciato la pala e ho scavato. Un metro. E non ti dico (perché tanto non capiresti, che sei di città) quanto è dura la terra argillosa. Sotto le lacrime della pioggia è terra bagnata in superficie e dura come il cemento in profondità. Ho scavato in maniera patetica, sudando e scivolando, impantanandomi come fosse un mare di letame, ho cristato l’impossibile e avvolto il gatto in un sudario (un pareo maldiviano bianco di mia madre…) e l’ho seppellito (il gatto, ma anche il pareo). Ho ricoperto il gatto di terra, ho messo mattoni antichi in cerchio, in mezzo la ghiaia. E, più tardi, con le mie figlie ho piantato due crisantemi ai lati. Che la morte è roba da imparare, roba della vita. Poi, da sola, ho pianto.

Ecco, con questa edificante immagine del gatto morto, ti do la buonanotte, sapendo che scuoti la testa osservandomi con un sorrisetto cinico pieno d’amore. E sobbalzando pensi: che forte la mia amica, ma ce la farà.

Tua Afrodite.

E pure Anna se n’è andata

Amica, te lo dico, hai scelto l’anno più glamour per dipartire. Da Bowie a Umberto Eco l’elenco vip è parecchio nutrito. Oggi se n’è andata la magnifica Anna Marchesini, anche lei troppo presto (tu in questo comunque sei stata al top). Ecco, se n’è andata una donna speciale davvero, piena di fascino, ironia, intelligenza e curiosità per la vita. Vi ho pensate insieme, vedo grandi chiacchiere e grandi risate, tanta intesa e discorsi profondi. Divertitevi lassù e accoglila come sai far tu. Il “dove non saprei” ora è più interessante ancora. Voi due raddrizzerete schiene con sorrisi, risate e profonda umanità. Ciao amica mia.

La vita. Amica. Me lo insegni tu.

*Copio incollo qui. Da un mio post di Facebook. Perché l’amore per te deve “girare”. (E tu non hai mai avuto Facebook. Sega che sei…)

Ho perso la mia più cara amica a 46 anni, con due figli dell’età delle mie; leggo post dedicati a donne, amiche, colleghe e madri andate via troppo in fretta… Sono diventata mamma tardi, sono diventata grande adesso… E penso. Penso che non sta scritto da nessuna parte che una vita lunga ci sia dovuta e data, penso che ci crediamo onnipotenti, quasi eterni, arrabbiati e indignati se moriamo prima – chessò – dei 70 o 80 anni… Non è così. La vita, la natura non guarda in faccia, non è cattiva o buona: la natura è. Allora voglio vivere, essere felice, serena, soffrire, amare, allevare, trasmettere, piangere, osservare, impegnarmi, sbagliare, cadere, perdonarmi, ridere, sognare, amarmi, perdonare, chiedere scusa, sentirmi fiera, mettermi in discussione, arrabbiarmi, amare, correre, riposarmi. Voglio vivere. E se domani non ci sarò più, annunciato o improvviso che sia, voglio solo essere certa di non aver giocato in ritirata, vissuto al risparmio, agito per paura, finto una vita che non è, vissuto relazioni false, fatto finta di niente, nascosto la testa sotto la sabbia, cercato vie comode. Questo io voglio. Questa sarà la mia strada piena di curve, salite, discese, questa sarà la mia storia. E la mia storia sarà un pezzetto della storia delle mie figlie, che non sta scritto da nessuna parte debbano avere una vita facile, in discesa, piena di bambagia, sarà un pezzetto della storia di chi mi ha amata e chi mi ama ora, di chi mi ha incrociata, sfidata, di chi mi è stata amica davvero, affrontata, confrontata, di chi mi ha insultato, ferito, di chi ha nascosto la testa, di chi ha voluto camminare anche solo un passo, autentico passo, accanto a me. Sarà quel che dovrà essere. Intanto io vivo. Vorrei campare cent’anni ma magari sarà solo un giorno. Ma non sarà un giorno sbattuto via. Tra errori e felicità.

Cose accadono. Io mi chiedo.

Voglio trovare un senso a questa sera, anche se questa sera un senso non ce l’ha…

Voglio trovare un senso a questa vita, anche se questa vita un senso non ce l’ha…

Voglio trovare un senso a questa storia, anche se questa storia un senso non ce l’ha…

Voglio trovare un senso a questa voglia,anche se questa voglia un senso non ce l’ha…

Sai che cosa penso?

Che se non ha un senso

Domani arriverà…

Domani arriverà lo stesso

Senti che bel vento

Non basta mai il tempo

Domani un altro giorno arriverà…

Voglio trovare un senso a questa situazione, anche se questa situazione un senso non ce l’ha

Voglio trovare un senso a questa condizione, anche se questa condizione un senso non ce l’ha

Sai che cosa penso

Che se non ha un senso

Domani arriverà

Domani arriverà lo stesso

Senti che bel vento

Non basta mai il tempo

Domani un altro giorno arriverà…

Domani un altro giorno… ormai è qua!

Voglio trovare un senso a tante cose, anche se tante cose un senso non ce l’ha…

Vasco

E basta.

Così dev’essere

Da quando non ci sei più ci incontriamo periodicamente. Siamo in tanti, a volte dieci, a volte venti. Tutti diversi, adulti, giovani, bambini, animali, tutti uniti dall’amore per te.

C’è un sacco di movimento, c’è vita, mangiamo, beviamo, cuciniamo, ridiamo, scherziamo, ricordiamo, ci raccontiamo e piangiamo anche, a volte tanto. C’è spazio per ogni stato d’animo.

Questo è magnifico, questo è grazie alla tua forza, presente nella tua assenza.

Così dev’essere, tesoro, uniti per l’assenza, nella presenza. Così attraversiamo insieme, gli adulti guidano, i bambini osservano e imparano.

Con il bene che ti voglio. Sempre.

Tua Silvia

 

 

Non mi manchi che…

Non mi manchi che piango tutti i giorni.

Non mi manchi che se passo da un posto tuo mi struggo con la mano sulla fronte come Eleonora Duse.

Non mi manchi che penso a tutte le cose che volevamo (e volevamo!) fare insieme.

Mi manchi che per esempio oggi son stata dall’avvocato per separarmi e mi sono sentita forte, ma ho dubbi e paure, e allora vorrei condividere con te questa giornata, i dubbi, le ansie, il coraggio e le sdrammatizzazioni….

Ecco: così mi manchi.

E allora le ho raccontate a tua madre e alla mia amica Silvia quella storica. Che son meravigliose. E dicono cose fondamentali, preziose, di sostegno. Ma non dicono “mah…” oppure “io non starei a perder tempo su questi pensieri adesso” o, ancora, “fanculo, c’hai dei controcoglioni così”. Dicono altro, e ringrazio il cielo di averle. Ma la tua voce, il tuo punto di vista divergente mi manca. Questo sì, eternamente. Ma forse te l’ho raccontato lo stesso e tu mi hai detto la tua.
Tua Afrodite, qui nel mondo tua Saida

Umberto Eco, la morte e i coglioni…

Ciao tesoro, visto che ti è toccato andartene subito dopo David Bowie e subito prima di Umberto Eco (hai scelto un periodo parecchio Vip), ti posto qui una deliziosa considerzione sulla morte (acuta e paradossale) proprio di Umberto Eco. Secondo me ti piacerà (già ti vedo col sopracciglio alzato che dici “ue’ beleé, non pigliarmi per il culo, facile fare umorismo con me adesso eh”… Ma tu leggila, e so che alla fine ridacchierai perché ti sarà piaciuta). Quando hai modo leggila, fino in fondo. Che la chiave è alla fine, ovviamente alla fine.

Mi manchi, ma come vedi ti penso.

Tua Saida-Afrodite

  

Sei in me (e a volte ridacchi)

Entro in punta di piedi in un luogo che era un po’ casa mia… Ho paura di fare baccano in questo blog, disturbare il silenzio del lutto, il dolore degli altri. Ma entro. Perché è (anche) qui che tutto è avvenuto. Questo blog non finirà. Non è finito l’1 febbraio 2016 con il tuo ultimo respiro. Non finirà ora. Perché tu non vorresti. Perché ci hanno letto in tanti e tanti hanno gioito e sofferto con noi. E non si abbandona la gente così. Forse si trasformerà. Non sappiamo ancora. Intanto eccomi qui. Comunque.

Eccomi qui a cercare parole dopo le parole struggenti trovate da Atena, eccomi qui a pensare e ascoltare me stessa e gli altri. E dunque…

E dunque ho capito che ci sono mille modi per soffrire e per dire addio o arrivederci, mille modi di attraversare il fuoco e la notte. Io l’ho fatto a modo mio, senza sapere come l’avrei fatto. L’ho fatto e lo sto facendo diversamente dalle altre “noi”, noi cinque. Diversamente da ognuno. A modo mio, come chiunque.

Non sono triste, non sono mai stata triste dal momento in cui hai respirato l’ultima volta quest’aria densa di vita. Ho pianto, molto. Ma non sono mai stata triste se non pensando a chi era ed è terribilmente triste per te. Ma io non sono triste. E’ strano. Ho pianto a dismisura accanto al tuo corpo senza più vita. Ti ho accarezzato e augurato buon viaggio. Ero straziata. Rassegnata alla tua impermanenza. Ma non triste. Vederti soffrire, quella era tristezza. Vederti arrancare, tu così coraggiosa e forte, quello era dolore. Ma sapere che sei altrove no, non è triste. Non ti ho perso. Sei con me. Sei energia, forma del mondo, sorrisi e occhi, parole e pensieri. Ci sei. Ci sei “contemporaneamente” e senza tempo. Ci sei tutta, bambina, ragazza, donna e vecchia. Sei senza tempo e sei in me. E tutto questo è accaduto all’istante. Che strana e dolce sensazione… All’istante…

Ed eccoti ora, molto prosaicamente, un elenco di cosa mi hai già insegnato in questi 15 giorni…

Sono diventata vecchia. Come te. Perché nonostante i tuoi anni non sei morta giovane. Sei morta vecchissima.

Nel momento in cui sei volata via ti sei portata via la mia parte leggera, ma improvvisamente mi hai donato coraggio. Sono uscita sull’aia di notte e ho ascoltato il vento. E ti ho sorriso

Ti sei portata via la mia leggerezza dei 12 anni. E quella dei 20. E dei 30. E l’allegria dei 40. Ma mi hai regalato la leggerezza della vecchiaia, che sa accettare, senza disperarsi più. Che sa guardare con un sorriso di rughe il sorriso di un bambino sapendo di aver già sorriso così, in un tempo lontano, ma che non sarà più possibile farlo in quel modo. Lo faremo insieme, in un altro modo. Sorrido a te amica, com pacata accettazione. Sorrido perché ho capito che tu ci sei. Ci sei in modo diverso. Ci sei in un sorriso anziano, non più fatto di bevute e discorsi, ma di silenzi condivisi. Ci sei. Nel vento e in me. Sono improvvisamente diventata vecchia. E va bene così.

Mi hai lasciato ricordi che non riesco più a decifrare uno alla volta. Arrivano tutti insieme e si sovrappongono, illeggibili ma potenti. Il passato, il presente e il futuro esistono adesso, in me. Non hanno più la stessa forma di prima, ma ci sono. Nuovi. Tu sei in me. Presente come non mai. Senza contorni precisi. Presente in ogni istante, presente in ogni istante di te, di me, di noi. Sei tutta in una volta, costantemente, serenamente. Sei in me.

Mi parli. Mi parli quando meno me l’aspetto e ora mi stai anche accarezzando. Mi parli e scuoti la testa, mi parli e mi incoraggi. Non ridiamo più insieme. Non discutiamo. Non brontoliamo. Ma mi parli. E io parlo a te. E’ un dialogo strano. Mentre guido sento che mi dici che sto facendo le cose bene e io te le racconto senza parlare. Mentre sto per addormentarmi mi dici di non preoccuparmi, che tutto è cambiato e nulla cambierà. Mentre osservo una persona e faccio pensieri sento anche quello che pensi tu di lei. Non che “penseresti”. Che pensi. Non ragiono “come se”, non mi chiedo cosa diresti. Ti sento viva in me. Sento la tua voce silenziosa che mi mette in guardia dal fare cazzate. Mi dici “proteggiti” ma me lo dici a modo tuo: sento che mi dici “fa balà l’oech”. Ecco, spesso parli in milanese. Che buffo. Ti vedo mentre scuoti la testa ridacchiando sorniona. Ti sento mentre sto con tua madre e tua sorella e mi sbeffeggi bisbigliandomi “ora son tutti cavoli tuoi”.

Sto imparando ad essere ordinata e a prendermi cura degli spazi in cui vivo. Non rimando a domani quello che posso fare oggi. Tu te ne accorgi. Ridacchi. Perché finalmente son diventata un po’ come te. Mi dici brava. E ridacchi. Spesso ridacchi. E ti commuovi. Pensando a noi che siamo qui.

E non lo so se ci proteggerai, non so se ti paleserai in un qualche modo, non so nemmeno se ti rincontrerò. Forse un giorno ci fonderemo nel vento parlando una lingua diversa, quella dei fiori e dei sassi. Forse. Non so se “ci sei esattamente”, ma so che ci sei. Io sono atea, non ho un paradiso o un dio. Ho le persone però, quelle che su questo mondo hanno lasciato un segno e sono diventate movimento senza tempo, energia che sta ovunque. E dunque so che lì ti posso trovare. Nel vento, nelle opere della persone che ti hanno amato, nell’erba che cresce, nei miei occhi, nel mio cuore. Continua a parlarmi a modo tuo. Continueremo ad essere amiche e sorelle, a lavorare insieme per quel che ci è concesso, per questo e in questo bizzarro mondo fatto semplicemente di esseri molto umani.

Grazie.
Tua Saida, un tempo detta Afrodite

Era il 24 luglio

Era il 24 luglio. Scrivevi dei tuoi pensieri, del tuo pensiero. Quello grosso, il più grosso e ingombrante. Quello relativo alla fine.
Ti rispondevo così.

“Fra tutti questo è il pezzo che più mi tocca.

Mi tocca in senso letterale, anzi mi violenta, mi borseggia dentro come un ladro frettoloso e assetato di monete in una casa non sua.

Mi fermo spesso a pensare in questi giorni a cosa sia la fine. Si perche un fottuto tumore, eh si, chiama a sè subito subito, quell’idea tanto “antipatica” di fine. E non puoi far finta di niente, eh. Ti si piazza li, come un filo di grasso di prosciutto crudo tra i denti. A volte sembra si sia levato e invece cazzo ce l’hai ancora li, tra molare e premolare. E con la lingua ci torni ad ogni istante per ravanare e provare a strapparlo via. Vano infruttuoso e un pò ridicolo tentativo. La faccia si contorce in una smorfia emiparetica. Quasi un sorriso, ma un pò più triste.

A cosa può somigliare la fine? Non lo so… chiudo gli occhi trattengo il fiato. Faccio questo esercizio diverse volte al giorno ultimamente. È così? Tutto nero? Tutto luce? Non lo so…non ci riesco proprio a pensarla … Non ci riesco non perchè manchi di immaginazione, figurarsi, ma per il solo dettaglio che se sei vivo non puoi pensare alla fine. Non puoi, è innaturale.

Si dice spesso che per non perdere il senso della vita bisognerebbe di tanto in tanto confrontarsi con la malattia con la morte con i problemi veri. Con la fine.

Ma ecco con sorpresa che ora che questo ospite inatteso ha messo le tende tra noi ci penso si alla fine, ma solo sforzandomi e questo non è che contribuisca più di tanto a rendere la mia vita migliore. Anzi, possibilmente mi paralizza lasciandomi senza fiato. Un pugno nel diaframma. Col cazzo che serve pensare alla fine.

Capisco ora con chiarezza che l’essere umano deve necessariamente essere programmato per non pensare alla fine. Lo è da un punto di vista ontogenetico, evoluzionistico. Questione di sopravvivenza della specie. Non potrebbe altrimenti.

Non ce la farebbe.

Sarebbe come morire pre – tempo.

Tutto te lo impedisce, perchè dentro di te, di noi, in ogni essere vivente, brucia l’unico combilustibile possibile: un’afflato, un logos, una spinta all’esisteza…il Dasein diceva Heiddegger.. l’esserCi.

Come distesa nella vasca da bagno immergo la testa sotto il pelo dell’acqua dei miei pensieri, resto li, in apnea, finché i polmoni non esplodono. Così a un certo punto riemergo dal pensiero della morte e prendo tutto l’ossigeno vitale che posso. Lo trovo in te amica, nei tuoi occhi, nel nostro parlare, nei tuoi gesti, nella quotidianita del separarci e del ritrovarci …. allora ci vediamo domani? Si certo tesoro a domani!

L’unica cosa che capisco, chiara e netta, è che vivere pensando alla fine è un improbabile, improponibile, impossibile ossimoro esistenziale.

E allora penso che molto, molto banalmente, ciò che ci è dato di fare, anche di fronte ad un evento biografico così potentemente critico e destabilizzante come un cazzo di tumore, è solo di vivere ogni istante con lo sfacciato obiettivo di fare tutto ciò che è in nostro potere per avere un’esistenza appagante. Con chi scegliamo noi. Come desideriamo noi.

La partita è questa.

La mano sta a noi.

La fine è nota.

L’adesso è il nostro asso. “