Il Natale che avrò mi basterà

Potrebbe essere un Natale triste, anzi pessimo. Ma non lo sarà. Potrebbe essere un Natale fatto di ricordi di affetti perduti, ma non lo sarà. Potrebbe essere un Natale che per me, come per molti nel mondo, immagino, significhi ripercorrere con la memoria chi non c’è più attorno ai fornelli e alla tavola imbandita , assente perché adesso sta come te tra le rose o per le scelte della vita.

I giorni appena trascorsi hanno voluto mettere alla prova la mia gioia e il mio ottimismo. E così ecco immagini che si rincorrono mentre accendo il camino o faccio la spesa.

C’è quello che non è più mio marito, che mi aiuta ad apparecchiare una tavola per quattro, sforzandosi con me di farla apparire sontuosa e allegra. C’è mia madre, elegantissima e insicura sulle sue gambe fragili di donna abituata ad andare in taxi, che seduta sulla poltrona migliore contempla i risultati degli addobbi, ansiosa di iniziare dalle tartine al caviale. C’è mia nonna, disorientata ma sempre allegra, che manda gridolini di felicità e si commuove. E c’è mio padre, sempre di fretta da una famiglia all’altra, che rispetta però le feste con tutti e ne moltiplica i giorni. E poi, lontano nei ricordi, c’è mio nonno, così serio e convinto, l’unico che a tavola prega, che gli altri sono atei o mezzi ebrei. E infine, sopra tutti, ci sei tu, tu di quando eravamo figlie di famiglie separate, tu con le tue donne, tua madre, tua sorella, tua nonna, attorno a un tavolo rotondo enorme, sedute con noi donne, mia madre, mia nonna ed io. Ed era il natale delle famiglie reinventate, femmine allegre che brindano, ridono, cantano, cucinano senza lasciarsi abbattere dalle strade della vita. Noi, io e te, le cucciole di famiglia, anche a 25 anni. Noi che intratteniamo le nonne e le madri, con tua sorella che osserva divertita. Noi, che non è Natale se non stiamo tutte insieme. Noi, arrabbiate, bocciate, contestatrici, ribelli, che la cosa più dolce del mondo è fare tutte famiglia insieme. Noi che ti penso da giorni e mi manchi più che mai, che ti sento parlare e ridere, che ti sento contestare regole e riti, che ti sento così dentro e così fuori da me. Noi che sono sono rimasta soltanto io. Noi che eravamo Natale insieme.

Questo Natale no.
Questo Natale, nulla. Di questo, nulla.
Uno alla volta, per diverse ragioni, siete spariti tutti.

Nessuno di tutti voi attorno alla mia tavola.

Eppure…

Ieri mi ha chiamato Persefone, che sa andare nel profondo con la leggerezza di un dipinto ad acquerello e riemergere con parole senza perdere il rigore del pennello. Mi ha chiamato con la sua voce rotonda e dolorosa, la sua voce bella e vagamente roca. E, molto seriamente, mi ha restituito il Natale.

Ci ostiniamo a vedere quello che ci manca – ha detto – e perdiamo di vista quello che abbiamo…

Allora ecco, io ho molto. Ho pochi amiche e amici veri, e questa è ricchezza, perché i diamanti purissimi sono pochi ma valgono un tesoro. Ho un amore in tutte le sue forme di dolcezza, allegria, devozione, accoglienza, rispetto, crescita, comprensione, complicità, confronto, scontro, leggerezza e profondità. Ho un padre e la sua inesauribile moglie, che riescono a trasformare in festa anche una colazione del mattino. E una sorella, che corre, corre, corre da sua madre, da nostro padre, a destra e a manca ma non si scorda mai di nessuno. Ho poi una vita in cui due persone che si sono molto amate hanno costruito una famiglia, non perfetta, non solida, ma piena di speranze autentiche ed errori umani. Ci abbiamo messo il peggio e il meglio di noi e se è fallita non vuol dire che non mi abbia dato e lasciato in dono l’esperienza più intensa della mia vita. E ho, prima di tutto, due bambine magnifiche, che mi insegnano ogni giorno la complessa leggerezza della vita, mi insegnano il calore e le risate, la pazienza e la comprensione, la compassione e il litigio, l’amore senza riserve.

Ecco, attorno alla mia tavola, stasera, nell’attesa del Natale, saremo noi tre, io e le mie figlie. Non dieci, non quattro: solo tre. E mi sto inventando un nuovo modo di fare famiglia, cucinando assieme, rilassandoci, ridendo, apparecchiando solo per noi una tavola bella e fatta con cura. E credo tutto questo sia un buon insegnamento per me, una ricchezza in più.

Domani poi sarà Natale, e ci stiamo inventando da giorni un Natale in quattro, nuovo, diverso, insieme. Con un papà, una mamma, due figlie entusiaste e aperte alle nuove forme della vita.

Dopodomani, non so gli altri, ma per me…sarà ancora Natale, con mio padre e tutta quella parte di famiglia che continua ad esserci, sempre. Prendendo le forme fantasiose che servono in ogni diverso momento. E prima ancora sarà pranzo con le amiche di una vita, e tutti i figli che abbiamo messo al mondo insieme, messi in scala d’altezza, da chi quasi ha la patente a chi da poco sa leggere. Sarà semplice, sarà caldo.

Ecco cosa ho, ho affetti in diverso equilibrio, ho amore in diversa forma, ho amicizia in luoghi lontani ma vicini al mio cuore. Chi sta a Milano, chi non sta più qui, chi sta lontano, chi sta tra le rose.

Non mi mancherai, dunque, perché sarai con me. E non penso che là dove sei proverai tristezza o mancanza, piuttosto saggia e illuminata completezza.
Buon Natale tesoro mio. E che sia un Natale di pace, una Natale di ringraziamento, una festa del cuore. Ma davvero.

Afrodite, Saida

A far la cacca con me…

Oggi ti ho portato con me a fare colazione al bar del benzinaio, abbiamo fatto il pieno di diesel (71 euro), poi siamo andate a consegnare un po’ di locandine dello spettacolo. Le abbiamo messe in due bar, un ufficio comunale, un panettiere, un tabaccaio, un negozio di alimentari, due farmacie, che le farmacie attirano un sacco di gente… Abbiamo sbattuto gli occhioni dicendo “mi raccomando, non mancate, spero proprio di vedervi” e sorriso gentilmente aspettando come un mastino che le appendessero davvero… Che sbattiamo gli occhioni sì, ma non siamo fesse…

Sei stata con me sempre, non ti dico in figura, ma di certo costantemente sullo sfondo. Che da due settimane, ormai, sei o in figura o sullo sfondo, ma comunque sempre con me. A volte ti darei anche la libera uscita eh, invece no, sei diventata il mio koala, anzi no, la mia cozza. Fai tutto con me, persino la cacca, che io me lo ricordo bene quando al liceo o all’università facevi la cacca. E perdonami se te ne parlo qui, ma per una volta vorrei sfogarmi pubblicamente. E poi, di cacca, per prima ne hai parlato tu. Ogni diamine di volta che c’era da sedersi a tavola per la cena tu arraffavi un libro (biologia, anatomia…) e ti ficcavi in bagno. Ore e ore. Cioè, io amo tua sorella e tua madre, ma era per stare con te che venivo a cena a casa tua… Niente… Vogliamo parlarne? Cosa ci facciamo con questa cosa? Che significato ha, per te, la cacca? In ogni modo, ora volevo informarti che da giorni vieni in bagno con me. Te lo dico per ripicca, anche. Un po’ mi sto vendicando: ti porto io in bagno con me. Ti parlo, mentre faccio la cacca, per lo più ti parlo col pensiero, ma a volte intercalo ad alta voce, penso a quanto diavolo studiavi in bagno, che io sono troppo rapida, è una cosa che non ho mai capito… Non capisco come si possano preparare interi esami in bagno… Vabbé…Fare la cacca sempre con te non è il massimo, devo dirtelo… Vorrei un po’ di privacy ogni tanto, se solo potessi uscire un attimo dal mio bagno e, magari, chiudere la porta… Ma niente, ormai sei sempre con me, non che non mi piaccia ma abbiamo un piccolo problema di privacy…
Tua Afrodite

Il merluzzo nel Campari

(C) disegni di E. L.
(C) disegni di Erica Lucchi

Io te lo dico, l’altra sera abbiamo dormito da te. Tutte. Io, tua madre, tua sorella, che in tre non ce n’è una che abita a Milano. Che a noi la città ci ha saturato e ci piace la natura. Te lo dico, ti abbiamo espropriato mentre tu stavi attaccata a una flebo. Siamo brutte persone noi tre… Soprattutto, abbiamo fatto la radiografia al tuo freezer. Il freezer di una santa salutista:

5 confezioni di carne rigorosamente bianca
10 pacchi di verdure tra cui bietole, spinaci e piselli
8 confezioni di filetti di merluzzo

Per cena avevo portato 3 bottiglie di rosso, una di prosecco di Valdobbiadene, una di Campari.
L’occhio di tutte e tre – cavallette in casa tua, reduci dal Fatebenefratelli, Piano secondo, Chirurgia, stanza 18 – scivola voglioso e bramoso sul rosso Campari (che Milano ci avrà anche saturato, ma l’aperitivo resta sempre l’aperitivo).

Campari con ghiaccio, so easy, so cool. So easy un par di palle…

Bicchieri.
Salame.
Salatini.
Bottiglia.
Freezer.
Ghiaccio.
Non c’è il ghiaccio.
Non c’è il ghiaccio.
Non c’è il ghiaccio.
Come “non c’è il ghiaccio?!”
Ma questa ha il frigo pieno di filetti di merluzzo e non ha il ghiaccio?!
Come facciamo?
Come facciamo?
Come facciamo?
Il Campari caldo?
No, non si può!
Non si può.
Non si può.
Mettiamoci dentro un filetto di merluzzo!!!
Scherzi?
No.
Ok.
Ok.
Ok. Lo leviamo prima che inizi a sciogliersi, però.
Ok, proviamo.
Proviamo.
Proviamo. Tirane fuori tre. Uno a bicchiere.

L’abbiamo chiamato Campari allo Scoglio. Non faceva nemmeno schifo. Che l’importante era bere alla tua salute, alla tua salute vera. Bere, ridere e sperare. Bere, ridere e pensarti. Che far cazzate a volte aiuta.
Ed essere praticamente astemi come te, a volte, non dà vantaggi secondari. Merda.

Quando torni a casa, compra una vaschetta per il ghiaccio.
Tua Afrodite